“Epistassi” è la silloge vincitrice della quinta edizione del Premio internazionale Montag per la sezione poesia. Un’opera che “fluisce” proprio come una perdita di sangue. E per questo vera, quasi inarrestabile, se non a caro prezzo, come mettendone a nudo le fragilità in versi.
Martina, dicci qualcosa di te. Un qualcosa che non possiamo sapere.
Sono un’amante dei pappagalli, in particolar modo delle calopsite (ne ho una tatuata sulla caviglia). Se un genio della lampada apparisse adesso e mi concedesse un desiderio, penso gli chiederei una grande casa immersa nel verde dove poterli allevare. Mi piacciono perché sono creature intelligenti e curiose, fedeli ai loro compagni per la vita; se fossi un animale probabilmente sarei proprio un piccolo pappagallo dalle guance rosse.
In dieci parole: perché dovremmo leggere la tua silloge?
Per guardarsi un po’ dentro in mezzo a tutto questo caos.
Hemingway diceva che scrivere è facile, basta mettersi davanti alla macchina da scrivere e sanguinare. Tu aggiungi che è così, ma allo stesso tempo è un vento che causa debolezza e angoscia. Questo senso di perdita in chi scrive è davvero inevitabile, o insopprimibile?
Non so se è una regola fissa per chiunque scriva ma per me è inevitabile. Cito il grande Tenco, che alla domanda “perché scrivi solo cose tristi?” rispose “perché quando sono felice esco”. Ecco, funziona così anche per me: scrivo quando ho bisogno di confessarmi, quando mi sento nostalgica o triste o sopraffatta da pensieri ricorrenti. Nel mio personale processo non potrei creare nulla senza sanguinare -metaforicamente- come dice Hemingway, proprio per questo ho scelto come concetto l’epistassi, intesa come perdita e al contempo flusso (di parole).
La tua strada per la scrittura, prosa e poesia, è fatta di…
Esperienze. Tutto ciò che scrivo proviene dal mio vissuto, dalle persone che mi hanno lasciato qualcosa, spesso dei vuoti interiori che ho cercato di colmare con la scrittura, per me terapeutica da sempre.
È una strada fatta anche da pensieri annotati per caso e senza un filo logico, da canzoni o scritti altrui che mi ispirano, da momenti di pace in cui mi ascolto e momenti di disordine in cui faccio fatica ad ascoltarmi.
Come nasce la Martina poetessa che cerca le sue parole?
Non mi definirei poetessa, per me i poeti sono Montale, Pavese, Merini, Ungaretti, e mai oserei inserirmi nella loro stessa categoria. Diciamo che la Martina “poetessa” viene fuori nei periodi riflessivi, quando i pensieri affollano la testa e cercano una via d’uscita. Di solito parte tutto da una parola o da un concetto, e attorno a quello provo a costruire un pensiero. Mi piacciono l’ermetismo, le ambivalenze dei significati, le assonanze e le allitterazioni, le metafore, l’ironia; da queste preferenze stilistiche, diciamo, prendono forma le cose che scrivo.
Scrivere in un certo qual modo è sacrificio, e sarai d’accordo, ma come ci si sente il giorno dopo aver vinto un premio?
Ancor prima di premi e riconoscimenti, la soddisfazione più grande è che qualcuno abbia compreso il senso di Epistassi. Ho scritto queste poesie con un unico scopo: provare a dare forma a pensieri e sentimenti universali sfruttando la mia esperienza personale. Spero di esserci riuscita e che chiunque leggerà la mia opera possa in qualche modo “connettersi” con me e con le mie sensazioni. Ovviamente sono felice di aver vinto e impaziente di sapere cosa succederà nei prossimi mesi.
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