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LUCIA TOSO, VINCITRICE DELLA PRIMA EDIZIONE DEL PREMIO “CHIAMATELO AMORE”, il volto folle del romance.

“Un passato quasi perfetto”, romanzo vincitore del premio “Chiamatelo Amore”, è un viaggio nei cuori, una storia coinvolgente, passionale e disperata nel suo confrontarsi emotivamente con sentimenti forti che sembrano sopiti, ma che in realtà vivono ancora sotto le ceneri di spiacevoli eventi passati. L’amore, ci insegna Lucia, è una brace che può resistere in modo imprevedibile e tenace.

Lucia, dicci qualcosa di te. La te che nessuno può conoscere leggendo la tua biografia.

Aiuto… così d’acchito una domanda tanto intima esigerebbe una risposta approfondita che non so dare. Ora che la gente si confessa in pubblico attraverso tutti i media possibili, mettendo in piazza ogni minuto secondo della propria vita, io preferisco tenere me stessa per me, i miei familiari e gli amici. Come cantava Gloria Gaynor: I am what I am, sono quella che sono e non mi ritengo poi così interessante. Qualcosa però mi dice che nelle domande seguenti svelerò anche troppo…

Il tuo è un romanzo che scava nei sentimenti e nei loro aspetti più profondi. Lasciaci provocare: davvero c’è qualcosa di ancora non detto sull’amore in tutte le sue declinazioni?

Fintanto esisterà l’uomo su questa terra ogni suo sentimento potrà essere raccontato in modi diversi e con parole nuove. L’amore poi è talmente centrale nella vita di ognuno di noi e ha tante di quelle declinazioni da poterne parlare e scrivere all’infinito. Lo facevano gli egizi 3500 anni fa e lo faranno ancora i nostri pronipoti. Lasciate che anch’io provochi: che cos’è I promessi sposi se non un romanzo d’amore? Certo è un romanzo storico, potente, fondante, ma se non ci fossero Renzo e Lucia e il loro impedimento a sposarsi che regge e sviluppa l’intero intreccio, su che cosa sarebbe costruito? E inoltre: l’addio ai monti che descrive l’affettuoso attaccamento di Lucia ai luoghi natii, la madre di Cecilia e il suo strazio per la perdita dell’adorata figlia, La monaca di Monza e il suo amante Egidio, l’Innominato che ritrova la fede, sono tutte manifestazioni d’amore che si declina in tenerezza, dolcezza, passione, violenza (di sentimenti), rinuncia, riscatto. È sempre amore: per la patria, i figli, un uomo, Dio.

In dieci parole: perché dovremmo leggerlo?

Dieci, eh? Per trascorrere qualche ora altrove nei panni di altre persone. (C’è chi le ha contate e chi mente).
Dopotutto è questo che fanno i romanzi, no? Ti trasportano lontano dal luogo in cui stai leggendo per immergerti in una realtà altra, sconosciuta e, si spera, tanto appassionante da farti immedesimare nella vicenda dimenticando tutto il resto. Parafrasando Umberto Eco: i libri servono a vivere moltissime vite e non solo la nostra.

Malgrado l’autrice si illuda del contrario, qualcosa di sé filtra sempre tra le pagine. Quanto c’è di Lucia nelle sue storie?

Be’, molto. Non m’illudo davvero di riuscire a celarmi del tutto tra le pagine. Ci sono i miei studi, le mie battute, il mio carattere, qualche episodio di vita vissuta, forse anche il mio modo di parlare e i miei pensieri, le cose che amo e quelle che detesto, però nulla di tutto ciò è mai concentrato in un unico personaggio. Molecole di me intridono qua e là i vari protagonisti. Chi più chi meno ha qualcosa di ciò che sono e anche di ciò che vorrei essere. Chi mi conosce mi ci ritrova sempre in quello che scrivo. E mi prende in giro perché ho fatto dire o fare a un personaggio quello che a volte faccio o dico io.

Venezia, New York, il profondo rurale degli USA… Far viaggiare i personaggi è un’arte. Essendo tu un’esperta di cinema – e autrice di monografie, co–sceneggiatrice di docu–film e collaboratrice della Biennale di Venezia –, è stato istintivo trasporre sulla carta una scrittura molto visiva?

Io sono cresciuta a pane, cinema e musica jazz. Ma soprattutto a cinema. La mia tesi di laurea è stata su Singin’ in the Rain ma mi ero innamorata dei musical a cinque anni in un’arena estiva dove avevo visto Seven Brides for Seven Brothers. La tv era allora in bianco e nero – sono una vera boomer – e quell’esplosione di danza, musica, voci e colori in Cinemascope mi lasciò estasiata. Ma mi appassionai a tutto il cinema, soprattutto a quello americano: i noir anni Quaranta, la commedia sofisticata, la screwball comedy e poi il cinema degli anni Settanta e i miei idoli: Scorsese, Spielberg e Coppola, oltre a Lucas e Zemeckis. Da adolescente avevo già visto migliaia di film in televisione e al cinema e ho continuato su quella strada che era anche costellata – come una personalissima Walk of Fame – dal mio amour fou per un bel po’ di attori.

Come nasce la Lucia scrittrice?

Proprio per il mio amore per gli attori e la voglia di “recitare” con loro, scrivevo racconti che avessero per protagonisti questi divi e me. Potevano essere sequel di film o episodi di telefilm perché dipendeva da dove lavorava la star. Potevano essere Richard Gere come Harrison Ford, Paul Michael Glaser (lo Starsky di Starsky & Hutch), William Hurt o George Clooney. Li scrivevo anche per le amiche come regalo di compleanno o altro, in base a quale attore piaceva loro di più. Insomma: facevo fanfiction prima ancora di sapere che esistesse la parola fanfiction ed è stata una straordinaria palestra di scrittura. Poi sono passata a storie più lunghe e nel ’95 il romanzo Il colore del mattino (protagonisti ideali Denzel Washington e Meg Ryan), vinse un concorso della Mondadori. È piuttosto naturale quindi che i miei romanzi siano “visivi”, perché sono i film che avrei voluto girare o almeno vedere, però un grande peso in questa peculiarità la attribuirei anche al mio amore per l’arte da cui sono benedetta in una città come Venezia. Con Tiziano Vecellio mi è successa un po’ la stessa cosa che con i musical. Mi sono innamorata di lui e della sua pittura a quattordici anni dopo aver letto la sua biografia romanzata scritta da Neri Pozza; l’ho studiato a fondo e quasi trent’anni dopo ho pubblicato una sua breve biografia da cui infine è nata l’idea del docu-film che ho scritto. E sono riuscita a infilarlo persino in questo romanzo!

Su cosa hai costruito la tua strada per la scrittura?

Sulla lettura. Ho letto molto fin da ragazzina romanzi di diversi generi e strutture. Credo si debba leggere un po’ di tutto per acquisire un minimo di tecnica: dai bestseller ai classici, ai libri degli esordienti, a quelli che si scelgono solo per la copertina o per il titolo. Amo molto i romanzi dell’Ottocento inglese soprattutto quelli di Wilkie Collins maestro di intrecci, suspense, colpi di scena e con un occhio di riguardo per le donne e la loro situazione di allora. Lì dove il suo amico Charles Dickens si occupava più dell’infanzia abbandonata, Collins trattava della condizione femminile (all’epoca, se una donna non aveva possibilità, un’istruzione, una famiglia benestante o un titolo, poteva fare solo la serva o la prostituta) e di come alcune figure trovino riscatto dalla loro condizione grazie alla forza morale che le sostiene. Ritengo che leggere molto sia fondamentale per scrivere e per acquisire una buona padronanza della lingua. Sono laureata in Lettere ma prima mi sono diplomata al liceo scientifico il che mi ha dato una panoramica generale su materie diverse e su come affrontarle (o tenerle alla larga!). La passione ha fatto il resto.

Hai già pubblicato con Mondadori e Sonzogno, eppure svegliarsi il giorno dopo aver vinto un premio è…

Gratificante. Scrivo da quarant’anni ma non mi sono mai sentita una scrittrice e non ho mai creduto fino in fondo nei miei mezzi, perciò vincere un premio è la conferma che qualcuno del settore ci crede più di me. Perciò: grazie di cuore Montag per avermi scelta!
Non posso dire di avere molti altri romanzi nel cassetto perché è obsoleto, ma nel computer sì. Prima o poi usciranno anche quelli e questa è una minaccia seria…

Il libro lo trovate cliccando QUI


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