“Riso sul sagrato” è un’antologia peculiare, costruita su attimi, sguardi spesso rubati, ricca di squarci e visioni intercambiabili ma sempre umane e vere perché sono anche le nostre. Tredici racconti tramite i quali Carlo Maria Simone ci prende per mano permettendoci di spiare con lui i misteri della libertà, dell’amore, di benedizioni e di immancabili maledizioni.
Carlo Maria, dicci qualcosa di te.
Tutti mi chiamano “Carlo” e basta! Sono un insegnante e un papà: i due mestieri più belli del mondo. E sono un aspirante scrittore…
In dieci parole: perché dovremmo leggere “Riso sul sagrato”?
Perché è breve, è vario, e parla anche di te.
“Riso sul sagrato” è un mosaico di storie, frammenti, sguardi spesso rubati. Come chiunque scrive sei un curioso osservatore quindi?
Ho una nota sul cellulare lunga così in cui appunto ciò che mi colpisce: la dinamica di un fatto, la descrizione di un passante, anche semplicemente una parola che sta bene con un’altra. Ho paura di lasciarmi sfuggire la realtà e scrivere è un tentativo di prenderla nella coppa delle mani.
Quanto c’è di Carlo nelle sue storie?
C’è, per forza che c’è; ma nessun racconto è autobiografico in senso stretto. Guardo il mondo attraverso la mia esperienza, mi lascio stupire e mi viene il desiderio di raccontarlo. Mi piace immedesimarmi: ho sempre fatto teatro.
Come nasce il Carlo scrittore?
Avevo sei anni e la mia famiglia mi lasciò a lungo d’estate in un luogo molto bello ma in cui mi annoiavo parecchio. Perciò mi ritrovai ad inventare storie per ingannare il tempo. La prima s’intitolava “La moglie del diavolo” e raccontava di un’invasione di insetti sulla Terra, di un gas brevettato dalla NASA per sterminarli (mi sa che avevo un’idea strana della NASA!) e di una donna-cavia che subiva degli effetti… collaterali. Basta spoiler, sarà un romanzo di grande successo!
La tua strada per la scrittura è fatta di…
Letture, letture, letture. Di ogni tipo. Per me sono come il pane e senza so che non potrei scrivere. E poi vivere, vivere, vivere. Senza incontrare la realtà si parla solo dei propri pensieri e quindi di nulla di interessante. Anche per questo sono felice di fare l’insegnante e di avere famiglia.
Come ci si sente dopo un esordio editoriale?
È il sogno che mi accompagna fin da bambino. Realizzarlo è incredibile e non sarò mai abbastanza grato alla Montag per aver creduto in me. Al contempo il desiderio è che sia solo l’inizio. Anche se temo che i libri, come la vita, non basteranno mai.
E allora inoltriamoci nelle scene di Carlo, mai banali, mai irrilevanti.
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