“L’Essenza” è il romanzo vincitore della terza edizione del Premio internazionale Montag per la sezione narrativa. Una storia distopica che non risparmia il lettore, ricca di visioni e spunti “scomodi” con lo scopo di far riflettere, spiazzare. Un romanzo crudo, a suo modo, una scossa emotiva e intellettiva. Perché il divario tra persone, in una società sempre più iniqua, non ha mai piantato gli artigli così a fondo.
Fabrizio, dicci qualcosa di te.
Sono sempre stato affascinato dalla lettura e dalla scrittura, sin da ragazzo sognavo di diventare giornalista. Una volta pubblicista, mi sono ritrovato a firmare le pagine degli spettacoli di diverse testate e questo ha contribuito ad aumentare la mia passione per gli audiovisivi. Ho dirottato il mio percorso in Lettere Moderne verso la specializzazione “Comunicazioni sociali e spettacolo” e scrivendo una tesi sul cinema di Emir Kusturica mi sono laureato con lode. Ma i film volevo farli, non solo studiarli, e allora ho frequentato Ipotesi Cinema, meravigliosa scuola-laboratorio di Ermanno Olmi. Ho iniziato a lavorare sui suoi set come assistente, poi mi sono cimentato come regista per qualche anno, ma poco alla volta mi sono accorto che stavo meglio quando i film, anziché girarli, li scrivevo. Da lì: sceneggiatore. E infine, per la passione di raccontare, romanziere.
L’Essenza è distopia pura. Fantascienza, ma con un fortissimo legame con la nostra realtà.
Sì, forse anche perché nasce da questo percorso di progressiva esplorazione dei diversi ambiti della scrittura: uno sguardo quasi da cronista ma applicato a visioni che non sarebbe stato semplice sviluppare in un film non solo perché costose e spericolate, ma anche per via di un sottotesto etico-politico (come spesso nella distopia, si pensi a Orwell) cui la letteratura può garantire un più ampio respiro…
In dieci parole: perché dovremmo leggere “L’Essenza”?
Perché è un’avventura sorprendente, un giro su un ottovolante. (E perché, sotto sotto, parla del nostro mondo e di come rischia di diventare, se anziché lottare per diritti e civiltà ci lasceremo comprare per pigrizia e quieto vivere.)
Quanto c’è di Fabrizio nelle sue storie?
All’apparenza poco: mi affascinano ambienti e personaggi spesso distanti da me. Ad esempio in “L’Essenza” tre figure chiave sono donne, molto diverse anche tra loro (una terrorista, un’aristocratica, un’ex chirurga) ma tutte così coraggiose da arrivare a infrangere leggi che ritengono ingiuste – un po’ incarnazioni prossimo venture di Antigone. Tuttavia, mi rendo conto che spesso in quel che scrivo le mie ossessioni e passioni emergono poi in filigrana. Ed è uno dei motivi per cui in coda al romanzo ho voluto inserire delle brevi note per dare possibilità di approfondire alcuni di questi rimandi, una sorta di lessico affettivo che è pure un piccolo santuario di autori che amo moltissimo, come William Gibson o Margaret Atwood…
Scrittore e sceneggiatore… Due lati della stessa medaglia e delle stesse parole?
In realtà, sono ambiti espressivi più distanti di quanto possa sembrare. Credo di dovere al mestiere di sceneggiatore un certo senso per il ritmo, i dialoghi, la struttura. Ma le parole della letteratura devono essere altre: la ruvida sinteticità della scrittura cinematografica può funzionare, penso, solo per alcuni tipi di storia. Alle volte rileggendo le prime stesure dei miei testi letterari mi accorgo, ad esempio, di essere stato troppo parco nei dettagli d’ambiente, ma è perché per decenni mi ha viziato l’idea che ogni elemento delle didascalie sarebbe stato poi arricchito da scenografi, costumisti, registi – da tutti i professionisti insomma che avrebbero contribuito a renderlo concreto. Di inebriante nella letteratura c’è che invece la parola è tutto, che la parola costruisce direttamente universi… e questa è una responsabilità enorme, per uno sceneggiatore! E poi, ecco, sceneggiare mi portato a essere paziente e devoto al lavoro di lima. Nel lavoro per il cinema occorre quasi sempre, per vari fattori anche logistici ed economici, cambiare in corso di sviluppo dettagli e dinamiche narrative, o al contrario rimanere in certi schemi… mentre la letteratura offre spazi più ampi, più percorribili e liberi (e forse anche per questo evoco nel romanzo “Liberté” di Paul Éluard, poesia che ho scoperto grazie a David Cronenberg).
Come nasce il Fabrizio scrittore?
Col tempo e la curiosità. Il lavoro di sceneggiatore mi ha dato e continua a darmi soddisfazioni, come vedere miei personaggi interpreti da attori che ammiravo sin da studente, o film che ho scritto selezionati in importanti festival e guardati in tutto il mondo sulle maggiori piattaforme. Però man mano è maturato in me anche il desiderio di mettermi in gioco su un terreno più personale, per così dire. Dopo tanti lavori di squadra, in coproduzioni anche internazionali, avevo voglia di voglia di concepire per intero un oggetto artistico da solo, di affrontare una sfida diversa rispetto a quella (a suo modo meravigliosa, peraltro) di essere parte di un processo più ampio. La necessità di raccontare qualcosa usando un mezzo per certi versi più intimo. Il desiderio di inventare storie che non abbiano per forza bisogno di capitali e coincidenze fortunate per germinare in immagini, ma cui sia sufficiente l’interesse da parte di chi legge, la sua fantasia nell’immaginare spazi e volti, nel calarsi in mondi anche lontani che poco alla volta possono rivelarsi familiari…
La tua strada per la scrittura è fatta di…
Lettura e riscrittura! Non solo perché da anni nei corsi di scrittura creativa che tengo cito come sacre le parole di Hemingway circa il fatto che la prima stesura di qualsiasi testo sia inevitabilmente pessima (ma lui lo diceva con più schiettezza), ma anche perché appunto la deformazione professionale da sceneggiatore, sempre teso all’ennesima revisione per i più svariati motivi, mi ha abituato a procedere per gradi, a strati, per così dire. Amo lavorare sulla struttura, andando man mano a riempirla… e in “L’Essenza”, ho cercato di portare questo gioco all’estremo, dando vita a un puzzle che spero lettrici e lettori troveranno coinvolgente e appassionante da ricomporre.
Come ci si sveglia il giorno dopo aver vinto un premio?
Molto, molto bene, grazie! E ancora di più se il premio porta un nome che, per chi come me è appassionato di distopie e fantascienza, è carico di enorme valore. E poi, essendo quella di romanziere un’attività più solitaria, rispetto a quando si scrive per il cinema o la televisione o il teatro, aggiudicarsi un premio è anche, in qualche modo, un segnale di conferma che la rotta sia giusta, che il viaggio possa continuare…
E allora inoltriamoci nelle visioni di Fabrizio, mai banali, mai irrilevanti.
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